mercoledì 1 aprile 2020

LA MIA PROCESSIONE

Mi ritrovo seduta su questo divano, circondata da un mare profondo.  
Dalla  vetrata vedo un enorme cespuglio di rosmarino, un altro di salvia e poi lavanda selvatica, oleandri, ulivi bassi, una rosa rampicante e tante pietre nere, lucide e  opache. E nuvole veloci, spinte dal maestrale di oggi pomeriggio. In fondo, c'e sempre un po' di azzurro che chiude la scena. Il tramonto sarà devastante anche stasera. 

La mia casa e' disordine puro in questo sabato pandemico e recluso. Ho cibo per giorni, e vino. E cioccolata. Ma mi nutro di olive arance e formaggio. 

Siamo impazziti. Questo e' il punto. 

Il mondo ci ha chiuso in casa, lontani gli uni dagli altri. Il mondo ci ha fermato incoscienti e violentatori. Non siamo stati in grado di ascoltare e capire. Siamo voluti andare oltre la ragione, oltre la necessita', oltre il senso autentico e profondo delle cose. La nostra e' la colpa degli esseri umani. Il nostro peccato originale. Abbiamo abusato della nostra razionalità, talvolta insana, a scapito della misura. Cio' che ci renderebbe, apparentemente superiori agli animali e alle piante, si e' dimostrato essere il nostro limite. Gli antichi greci parlavano di Kata' Metron, la giusta misura, il punto da non oltrepassare. 

La Natura e' il principio originario, e' un orizzonte immutabile che nessun uomo e nessun dio fece. L'uomo, in quanto specie, si dovrebbe muovere, secondo la giusta misura, nel rispetto delle leggi di natura. Nella tradizione giudaico/cristiana, la Natura e' buona perché l'ha creata Dio. Dovremmo invece capire, e forse lo stiamo capendo, che la Natura e' indifferente alla condizione umana. Siamo solo una specie.

In questo senso avremmo dovuto avere rispetto di questa palla che ci accoglie, ci nutre, ci coccola.  Ma abbiamo praticato la cecita' per convenienza o per stoltezza. Ancor peggio, ci siamo resi complici di un sistema che ci sfrutta. La ragione e' diventata economia. Il mercato, la finanza e l'economia appunto sono diventate forme elevate e condivise di razionalità', ma condizionate pur sempre da una passione, la passione del denaro. La Tecnica invece, il nostro demone, non ha nessuna passione, e' razionalità' pura.  I suoi valori sono efficienza e produttività'.  Il nostro mondo e' caduto in questo vortice. La tecnica fa soccombere la morale. Se esci dal mondo della tecnica sei fuori dal sistema. L'uomo si e' fatto schiavo da solo. 


Viviamo in questa logica disumana dove dominano i ruoli, ma siamo pur sempre dotati di una parte di irrazionalità' che non sappiamo più usare. Abbiamo perso il senso, l'intuito, l'equilibrio. Abbiamo perso soprattutto la parte erotica del nostro sentire. Privi di amore, appunto, e concentrati solo sull'io. Sul nostro "cristianissimo" individualismo. Sul nostro futuro salvifico. 
Ci dobbiamo fermare. E' corretto. E' purificante. E' drammatico. 

L'isola ha il vantaggio di farti trovare pronto quando vieni isolato di forza. Sai già' come giocare con la noia, come concentrarti su quello che hai intorno, come vivere a marce ridotte. E ti senti rafforzato, solido e umano.

Siamo creature effimere, caduche, transitorie. Questo e' il punto.  

Lottiamo con la morte, che e' solo una parte della nostra vita. La morte e' semplicemente la disintegrazione dei nostri atomi, teorizzava Epicuro. E un po' lo penso anche io. Sta a noi imparare a vivere il presente, imparare a guardare la bellezza della vita. Concentrarci sui bisogni reali e distinguerli da quelli immaginari come la gloria, la ricchezza, il successo e il potere (cit. Bonazzi). 

Siamo schiavi di oggetti inutili, schiavi di comportamenti che di fatto ci costringono alla ricerca infinita di qualcosa di mai appagante. I bisogni reali corrispondono invece alla nostra natura e possono essere facilmente soddisfatti. In una società corrotta, deviata e dal baricentro spostato, come la nostra fino ad un mese fa, la felicita' piena sembrava irraggiungibile. 

A rafforzare l'idea della fragilità' umana c'e un poema omerico che abbiamo sempre tutti percepito  come poema di guerra. L'Iliade. Dalle reminiscenze scolastiche ne ricordiamo forse la trama. Ma ciò che emerge dagli studi di illustri pensatori, forse la lezione più profonda che ci arriva dall'Iliade e' che, la forza, e' solo un'illusione e chi si affida ad essa sarà perduto. Il poema, se effettivamente da un lato celebra le imprese dei suoi eroi, dall'altro medita profondamente sulla debolezza degli uomini. Nella scena finale, Priamo, re di Troia e padre di Ettore si reca, nel silenzio della notte, nella tenda del suo nemico Achille per chiedere indietro il corpo di suo figlio. In questo gesto davvero epico c'e' la consapevolezza della fragilità' umana che i due uomini si leggono negli occhi  l'uno  dell'altro. 

Il desiderio, l'impulso a non fermarsi mai, a non accettare i limiti che la natura ci impone, e' cio' che ci rende grandi. Ma e' anche ciò che ci fara' perdere, spingendoci sempre oltre, fin dentro il baratro (cit. Bonazzi).

Ed e' per questo, che celebro quasi quotidianamente la mia forma di penitenza, tra sacro e profano. La mia processione.

Sul finire del pomeriggio, esco a fare una passeggiata. Il mio vantaggio e' quello di essere isolata in questa campagna isolana ed e' pertanto impossibile incontrare qualcuno. Il percorso e' sempre lo stesso, con delle piccolissime variazioni. Infilo le cuffiette e ascolto musica. La Musica e' terapia assoluta ed e' l'unico momento in cui i due emisferi del nostro cervello sono coinvolti contemporaneamente. La scelta musicale e' ampia e discutibile, spazia dai neo melodici napoletani a Bach. La strada che percorro e' lievemente in salita. E' sterrata e piena di pietre. A destra e sinistra ci sono campi più o meno coltivati a uva e olive. Qualche dammuso disabitato, e soprattutto un lungo e continuo  corridoio di euforbie, asfodeli, ginestre leguminose, arbusti di cisto, finocchio selvatico e fichi d'india che mi accompagnano lungo il cammino. Su tutto dominano, oltre a profumi a me sconosciuti, la Montagna grande e le cuddie Billizzi. L'insieme e' perfettamente armonico, equilibrato. Ogni cespuglio sembra piantato dalla mano di un qualche dio. Nulla sembra lasciato al caso, ma tutto e' li per caso. Stonano soltanto una rete di recinzione cadente e arrugginita, una vecchia auto abbandonata e divorata dal verde, un sacchetto nero dell'immondizia incastrato tra le pietre laviche che il vento non riesce a spazzare via. Ogni giorno raccolgo un fiore diverso. Solo uno. L'ultimo tratto di strada e' il più faticoso, seppure leggermente asfaltato. La mia meta e' un' edicola votiva completamente abbandonata. Da fuori non c'e niente che possa attirarne l'attenzione. Una delle più anonime dell'isola. Tecnicamente e' un sacello cristiano, dalla forma stretta e allungata. Ha un cancelletto di protezione color terracotta, ma ormai scorticato, arrugginito e aperto.
All'interno un piccolo altare con una tovaglia sgualcita e cadente. Sopra di esso tre vasi di fiori. A destra, il più grande e' di vetro e accoglie un mazzetto di improbabili margherite di stoffa. Al centro, a mo' di recipiente, una bottiglietta di succo di frutta con fiori un tempo freschi. A sinistra, un vaso di plastica rosa con orchidea. Le pareti interne ed esterne dell'edicola sono pesantemente scrostate. A terra calcinacci, ragnatele e un mozzicone di sigaretta. Sopra all'altare e' appesa un'immagine sacra, sbiadita dal sole. Ci sono raffigurati una Madonna, il bambinello, una santa, un frate e due rosari.  Lascio il mio fiore, faccio il segno della croce sulla fronte e chiudo il cancelletto. Immancabile esce il geco che abita li' dentro. Chiudo e inizio la mia discesa verso casa, verso ovest. Lo spettacolo e' da mozzare il fiato. Il sole sta tramontando sul mare e sembra lo faccia solo per me. Rientro in casa e penso a quella Madonna. Non so quale possa essere, non ho nessuna competenza in questo settore, cosi come in quasi tutti gli altri. L'unica Madonna che mi viene in mente e' la Madonna di Pompei. Mia nonna, come molti altri fedeli, ne era devota a tal punto che me ne regalava un santino ogni anno. Faccio un google e cerco Madonna di Pompei, immagini. E mi appare come un segno: una Madonna con bambino, due rosari, a destra santa Caterina inginocchiata e dall'altro lato San Domenico inginocchiato. L'emozione e' totale. Il cerchio e' perfettamente disegnato. 

Ciascuno ha il proprio dio, la propria religione, le proprie preghiere. Tutto e' lecito fino a che non diventa ortodossia, settarismo, violenza e sopraffazione. Fino a quando non si supera la giusta misura.

Personalmente ho sempre avuto problemi ad appartenere ad un gruppo, ad un posto, ad un movimento. Sto imparando a rispettare la terra che mi accoglie, a sentirne i ritmi, ad osservarne i cambiamenti. E penso, infine, che davvero l'unica cosa che ci possa reindirizzare e' nella nostra parte irrazionale, folle, pura: "l'amor che move il sole e l'altre stelle".

Con questi versi Dante chiude la Divina Commedia. Un poema che, se da un lato ammonisce e condanna gli uomini che hanno moralmente errato dall'altro ci racconta come l'amore sia l'unico modo per elevarsi. La Divina Commedia e' stata scritta proprio per Beatrice, che Dante ha realmente conosciuto da bambino.  L'amore e' descritto in tutte le sue forme e circola nelle cantiche in maniera ascendente. La creazione e' amore, la natura e' amore. Nel canto di Paolo e Francesca, seppur da peccatori, l'amore e' descritto come miglioramento di chi lo prova, come severo esercizio, come risveglio del pensiero. Francesca e' l'emblema dell'amore totale al punto che Dante si emoziona esso stesso per questo amore : "e caddi, come corpo morto cade".

L'amore e' rispetto delle proprie emozioni, e' una sensazione cosi forte, cosi essenziale che deve diventare per ciascuno un lavoro di poesia. Dante, nella "Vita Nuova", parla di Beatrice come colei che, incarnando amore, e' stata mandata da Dio sulla terra per ricondurre gli uomini al bene. 

Noi, uomini mortali, abbiamo perso l'abitudine e l'esercizio di coltivare amore. In tutte le sue forme. 
Ecco, adesso, abbiamo il tempo di rifletterci e, forse, rimetterci in pari.